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Il Modello Atalanta Bergamasca Calcio

Quindici anni per sprofondare nei dilettanti o vedere, distanti appena un passo, i quarti di finale di Champions. La stagione 2004/2005 è quella del settimo posto del Messina in A e della retrocessione, da ultima in classifica, dell’Atalanta.

Il dato, piuttosto emblematico, racconta da un lato di incompetenza e mala gestione, dall’altro di progettualità e ambizione.
Si può cadere, finire al tappeto, ma conta rialzarsi, far tesoro di quell’antica massima, secondo cui gli errori fanno parte del gioco, purché da essi si finisca per imparare qualcosa. I bergamaschi risaliranno immediatamente la china, vinceranno il campionato successivo e, giusto per non farsi mancare nulla, scenderanno, nel 2010, un’altra volta in cadetteria.

Nessun dramma. Il purgatorio durerà lo stretto indispensabile, mentre al timone della società, Antonio Percassi sostituirà la famiglia Ruggeri. Un breve periodo di ambientamento, poi l’imprenditore detterà il cambio di passo, trasformando la “Regina delle Provinciali”, nella Cenerentola d’Europa.

Bella in Italia, splendida all’estero, capace di vendere i calciatori più rappresentativi e riproporsi sistematicamente mutata nell’aspetto, identica nell’identità. Kessie, Cristante, Caldara, Conti, De Roon, Mancini e Gagliardini. Come una poesia, l’elenco delle plusvalenze potrebbe continuare a lungo, contemporaneamente l’asticella delle ambizioni si alza e tocca vette inesplorate.
A San Siro, contro il Valencia, i tifosi della Dea erano oltre 40mila, disposti a tutto pur di assistere al sogno tirato fuori dal cassetto, pronto a diventare realtà. “Andiamo a fare la storia. Della squadra, della città”. Lo hanno scritto i genitori sui diari dei figli, presentando a maestri e professori giustificazioni impossibili da rifiutare. “In bocca al lupo e forza Atalanta”, hanno risposto loro. Niente polemiche, perché i traguardi si tagliano viaggiando compatti e i libri, per una volta, possono rimanere nella scrivania, specie se ci si sta sforzando di scriverci dentro una pagina memorabile.

Bergamo e l’Atalanta sono due facce della stessa medaglia, si tengono per mano, consapevoli di essere una parte integrante nel successo dell’altra. L’amore per la banda di Gasperini è riflesso fisiologico del legame viscerale provato dalla gente verso una città fondata sul culto del lavoro e il rispetto del bene pubblico. Le massime secondo cui gli sforzi pagano e senza fatica non esiste vittoria sono mantra scolpiti a fuoco nella mente di un popolo innamorato del luogo in cui è nato e, quindi, della sua squadra.

Chi pensa a una passione sbocciata all’improvviso ha, dunque, una visione distorta della realtà. I risultati hanno portato riflettori accesi e pagine di giornali, amplificato sicuramente l’entusiasmo. Il cuore nerazzurro, tuttavia, batteva forte già molto prima. Zingonia alleva da sempre talenti in quantità industriale, il vero segreto è lì, tra le mura del centro d’allenamento dove il settore giovanile viene preservato e coccolato alla stregua del più prezioso dei diamanti.

I bambini, d’altronde, imparano presto. Già in ospedale, dove appena nati gli viene regalata la maglia della Dea. Il rispetto per quel pezzo di stoffa a bande verticali si fortifica con l’età: vent’anni dopo diventerà un biglietto aereo per Valencia. Gli abbonamenti hanno prezzi popolari e in curva bastano 180 euro per godersi una stagione d’alta quota. Lo stadio pieno, presto diventerà nuovo, intanto ha già cambiato nome.

Un settore alla volta, piccoli passi, la ricetta della Dea per tornare nell’Olimpo.

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